La strada che, in parte, costeggia il torrente, gli antichi ponti che
segnano molti anni di vita, testimoniano di una zona abitata ed
interessata ai transiti dei viandanti già a partire dagli anni che
videro lo sviluppo di molti territori dopo il Mille.
Il paesaggio è di quelli che non si dimenticano in fretta. Sulla destra,
per chi sale, la “Corna Zeno” si frastaglia in tonalità coloristiche
che compongono un quadro perfetto.
Prima di piegare verso Presegno, la nuova strada,
costruita nei primi decenni della seconda metà del secolo scorso da un
sindaco al femminile, allora una novità anche a livello più vasto,
invita a sostare un poco nella conca di Vaiale, a tutti nota come la
zona delle “Piccole Dolomiti” perché lo scenario dei picchi della “Corna
Blacca” e della “Cima Caldoline”, che chiudono l’orizzonte, ricorda
quello delle “Grandi Dolomiti” venete e trentine.
L’origine del paese è da ricercare non solo nelle
possibilità di vita date da un’economia montana basata sull’allevamento
del bestiame, con la produzione di formaggi, e sullo sfruttamento dei
pascoli di alta quota, ma ancor di più nell’intreccio di antichi
percorsi, pure di “alta quota”, interessati da flussi commerciali ed, in
alcuni periodi storici, strategici.
Infatti il passaggio dalla valle dell’Abbioccolo, attraverso l’alto
passo “della Berga”, portava nelle montagne dell’Alta Valle Trompia ed a
Bagolino ed era per questo grosso centro montano una alternativa sicura
alla strada che costeggiava il Lago d’Idro diretta a Brescia, in caso
di guerre o di altre difficoltà.
Inoltre, il collegamento con Ono e Forno d’Ono, attraverso il “Passo
della Croce” metteva in contatto Presegno con la piccola “capitale”
della “Universitas della Pertica”, entità amministrativa alla quale
partecipò per più di 400 anni anche Presegno, sino al 1928, quando
confluì nel Comune di Lavenone.
È sintomatico che, a monte di Vaiale un
territorio sia chiamato ancora oggi “Le Pertiche”. Forno d’Ono era il
“cuore propulsivo” della produzione delle “ferrarezze” con il forno
fusorio e parecchie fucine; alcune famiglie di Presegno, come quella dei
Bonetti, erano direttamente interessate a queste attività anche per
diversificare la loro economia.
I nuclei abitati di Presegno e Bisenzio sono una vera sorpresa. Le
dimore, ben proporzionate ed eleganti, sono una eloquente testimonianza
di una “civiltà contadina” decorosa e carica di buon gusto.
I portali, scolpiti in pietra locale dai lapicidi della famiglia Mora,
qui giunta ed attiva per più di un secolo a partire dagli inizi del
1600, sono la “carta di identità” delle famiglie Zorzi, Zanaglio,
Campagnoli, Bonetti, Berardi, Dusi e di parecchie altre. Con i loro
vistosi stemmi, quasi a voler imitare quelli dei palazzo nobiliari,
dovevano rendere bene l’idea di un “prestigio locale”, coltivato e
mantenuto, magari con qualche tocco volutamente di troppo.
La piazzetta di Presegno è un gioiello. Chiama a sintesi l’impianto urbano.
Una serie di portali, in pietra finemente lavorata, diventa lo sfondo
artistico di uno spazio che ha le caratteristiche di un teatro
all’aperto, certo rustico ma con movenze nobili. Il tutto è di notevole
impatto emotivo che aumenta ulteriormente se si pensa alla storia che
hanno visto queste pietre ingentilite dalla creatività umana.
La chiesa parrocchiale non è da meno. Costruita a partire dal 1689 dai
“magistri murari” Giacomo Caratti ed Andrea Comitti su disegno
dell’architetto comasco Alvise Pernici, nonostante i molteplici furti
subiti, è molto armoniosa e ricca di opere d’arte. Il portale, sempre in
pietra scolpita, è una felice fusione tra l’inventiva di stampo
popolare ed il richiamo agli schemi dell’arte barocca. Assai graziosa è
pure la chiesa di Santa Maria della Neve a Bisenzio, opera settecentesca
del comasco Giuseppe Cetti, con affreschi di Giulio Quaglio della Val
d’Intelvi.
Purtroppo, come altri borghi montani, nel secolo
scorso, specialmente a partire dagli anni del “miracolo economico” del
dopoguerra, Presegno ha subito un massiccio spopolamento, con il venir
meno di quel “quadro economico” che, per secoli, aveva assicurato agli
abitanti la possibilità di vita in loco.
Veramente l’emigrazione era già iniziata alla fine del 1800 ma, nei
primi decenni del ‘900, il paese era rimasto consistente, con una
popolazione che, in media, si aggirava intorno alle 350 unità.
I primi giovani emigrati in cerca di un lavoro e di “fortuna” si erano
diretti verso gli Stati Uniti d’America. Quando poi la situazione mutò,
molte mete riguardarono l’Italia.
Tutti però mantennero un forte legame con il loro paese d’origine.
A questo riguardo è assai significativa la cronaca della festa tenuta
nel settembre del 1909 per la posa in chiesa della statua della “Madonna
del Rosario”, acquistata con le offerte dei giovani emigrati negli
Stati Uniti d’America.
In un registro conservato in una biblioteca privata è contenuto il
completo resoconto dell’impegno economico affrontato. Veniamo così a
sapere che gli offerenti dimoranti in paese furono ben 118 con una
contribuzione totale di L. 1074,20 a fronte di una uscita di L. 885,90.
Nell’elenco emergono anche 13 famiglie, benestanti o più generose, con una contribuzione individuale superiore alle 10 lire.
La festa fu solennissima. La presenza della Banda
Musicale di Casto la rese più gioiosa. Lo sparo di fuochi d’artificio
con tre «mortai» acquistati dalla ditta “Guido Glisenti” di Carcina
illuminò la serata. Una liturgia adeguata ed un bravo organista
lasciarono nel cuore di tutti una forte emozione, anche con il ricordo
dei giovani lontani impegnati in un duro lavoro in America.
Questa fu l’ultima occasione vissuta “alla grande”, non era ancora del
tutto presente il tarlo della prospettiva dell’abbandono del paese.
Poi seguirono anni con ridimensionamento, sempre più marcato, della
popolazione, sino ai nostri giorni nei quali le “pietre parlano da
sole”.
I pochi residenti stabili testimoniano però il filo tenace che non si arrende ed è giusto che sia così.
Il futuro, in una globalizzazione che ha messo in ginocchio molte comunità di montagna, non sarà facile.
Certo, la bellezza del luogo, la poesia dell’insieme, possono
ancora far sperare, così come alcune iniziative di intelligente
ristorazione. Serve qualche “colpo d’ala” che permetta la continuità
della permanenza abitativa non solo come luogo della “seconda casa” che
si ripopola nel mese d’agosto, ma come un nucleo di vita che possa
palpitare ogni giorno.
Per Presegno forse ci possono essere le premesse per un “sogno di rinascita” come per altri borghi montani spopolati.
In Italia ci sono duemila borghi abbandonati, quindicimila con abbandono
del 90%, condannati all’oblio da decenni di emigrazione.
Alcuni, grazie ad iniziative coraggiose ed innovative, stanno riprendendo vita nel contesto di un turismo di qualità.
Anche Presegno, in considerazione della particolarità del paesaggio, che
ha le caratteristiche per ospitare persone che desiderano vivere
qualche giorno immerse in una natura incontaminata ed in un contesto di
architettura rurale di pregio, potrebbe essere trasformato in un “museo
diffuso”, con un utilizzo intelligente e raccordato delle dimore,
sapientemente restaurate e riadattate.
Questo è già avvenuto in alcuni borghi del Centro Italia. Santo Stefano a Sessario nell’Aquilano è un eloquente esempio di quello che possono fare l’intelligenza e l’iniziativa.
Potrà mai accadere che un danaroso, colto e istruito “imprenditore del
turismo” si accorga della bellezza di Presegno? È un interrogativo che
oggi ha soltanto la forza dell’utopia, ma non è da escludere che possa
avere un seguito positivo.
Per concludere, s’impone una constatazione che meriterebbe approfondimenti. Riguarda le particolarità fisiche degli abitanti.
Generalmente, rispetto ai “perticaroli” loro confinanti ed ai montanari
di Bagolino, erano più slanciati, con tratti somatici armoniosi e belli,
e questo sia tra i maschi che tra le femmine. Abbondavano gli occhi
chiari ed i capelli biondi. Sembrerebbero discendenti da un ceppo
distinto dal resto della popolazione dei paesi circostanti (che ci sia
lo zampino di qualche guerriero nordico o di qualche “ungaro” qui
annidato nell’anno mille, stanco di spostarsi?).
Questo aspetto antropologico andrebbe studiato anche per mantenere vivo il paese attraverso i suoi abitanti, ormai sparsi tutti altrove.
Forse si potrebbero scoprire anche le ragioni di alcune intelligenze
creative ed intraprendenti nate a Presegno come i fratelli Bontempelli,
diventati ricchissimi a Venezia nel 1500, o i Ventura, detti
“Presegno”, stampatori di pregio pure nel 1500. Potrebbe essere anche
più chiara la ragione della presenza a Bisenzio di una copia del quadro
della Vergine “Salus Populi Romani”, venerata a Roma nella basilica di
Santa Maria Maggiore.
Sono piste che tentano la nostra curiosità e la nostra fantasia e fanno parte del fascino comunicato da Presegno.