venerdì 6 giugno 2014

Sognando Itaca 2014


Domenica 8 giugno parte il lungo viaggio all’insegna della solidarietà a bordo di una barca a vela che costeggerà il Mar Adriatico fino a Taranto dove la barca Ail approderà il 20 giugno. Scopo dell’iniziativa, è la riabilitazione psicologica e il miglioramento della qualità della vita dei pazienti ematologici.
La vela, infatti, per le sensazioni che offre e per le condizioni uniche e suggestive in cui viene svolta, ha una funzione terapeutica, soprattutto per persone con disabilità o affette da serie patologie. L’Ail permetterà ai pazienti di vivere una giornata piena di grandi emozioni grazie ad un progetto che fa della riabilitazione psicologica uno dei valori  fondanti della terapia ematologica.

In ogni porto toccato dal tour avrà luogo un Itaca Day: una giornata durante la quale un gruppo di pazienti, accompagnati da un équipe medica multispecialistica, potrà provare l’emozione di salire su una barca a vela professionale e trascorrere una giornata in mare all’insegna di quei valori che da sempre accompagnano questo sport: condivisione, spirito di squadra e solidarietà.
Queste le tappe dopo aver levato le ancore da Trieste: Venezia (9 giugno); Ravenna (10giugno); Rimini (11 giugno); Pesaro (12 giugno); Ancona (13 giugno); Pescara (15 giugno); Bari – porto di Monopoli (17); Brindisi (18 giugno) e Taranto (20 e 21 giugno)

Itaca di Costantinos Kavafis

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
nè nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

mercoledì 21 maggio 2014

Ciao Elsa :'(

L’importanza di una persona non si misura per lo spazio che occupa nel nostro cuore, ma dal vuoto che lascia quando non c'è più e tu Elsa hai lasciato un vuoto immenso nel cuore di tutti quelli che hanno voluto bene a te e allo splendido mare della tua Sardegna che ti portavi dentro e sei riuscita a far amare anche a noi attraverso i tuoi scritti nel tuo blog Un mare dentro e più recentemente su Facebook , anche a chi come me ti conosceva solo virtualmente. Non riesco ancora a credere che ora non leggerò più le tue poesie, i tuoi sfoghi acuti, ironici, intelligenti, spesso impietosi, ma sempre aperti alla speranza di un cambiamento della situazione nel nostro paese, o meglio dovrò accontentarmi di rileggere quelli passati, come la meravigliosa poesia "di sale la veste... Luigina" che mi dedicasti appena ci siamo conosciute attraverso il nostro blog e quella tenerissima che componesti in una notte insonne per la nascita della mia nipotina Francesca "Tutta per Francesca…da ELSA"
Per questi bei ricordi Elsa e per i momenti difficili che mi hai aiutato a superare e quelli felici che abbiamo condiviso insieme, non ti dimenticherò mai. Contavo di incontrarti quest'estate e di tuffarmi insieme a te nel tuo splendido mare, ma sono sicura che prima o poi ci ritroveremo in un posto migliore e ci potremo abbracciare davvero e tuffarci insieme nelle nuvole o tra le stelle  nel cielo che si specchia dentro il tuo mare.

venerdì 28 marzo 2014

Bisogno di poesia?

Spesso siamo così arrabbiati con noi stessi che non riusciamo a vivere l'amore né per noi, né per gli altri, né per Dio, ma forse abbiamo solo bisogno di un po' di poesia per accendere nuove emozioni e ridipingere di colori nuovi la nostra vita ( by Don Fabio Corazzina)
Non ho bisogno di denaro
Ho bisogno di sentimenti
Di parole scelte sapientemente
Di fiori detti pensieri
Di rose dette presenze
Di sogni che abitino gli alberi
Di canzoni che facciano danzare le statue
Di stelle che mormorano all'orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia
Questa magia che brucia la pesantezza delle parole
Che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
(AldaMerini)

mercoledì 19 marzo 2014

Il ritorno di Giuseppe

Dedico questa canzone a tutti i papà in difficoltà, perché trovino la forza di dare un senso vero alla parola famiglia e di lottare quotidianamente per rendere concreta la voglia di appartenenza ad una comunità aperta e trasparente, senza paura di dover mostrare il proprio vero volto
Che uomo e che padre ... questo Giuseppe! E che madre la sua amata !!!
Chiudi gli occhi e ascolta questo racconto di amore, paternità e dolcezza coraggiosi.




 Stelle, già dal tramonto,
si contendono il cielo a frotte,
luci meticolose
nell'insegnarti la notte.

Un asino dai passi uguali,
compagno del tuo ritorno,
scandisce la distanza
lungo il morire del giorno.

Ai tuoi occhi, il deserto,
una distesa di segatura,
minuscoli frammenti
della fatica della natura.

Gli uomini della sabbia
hanno profili da assassini,
rinchiusi nei silenzi
d'una prigione senza confini.

Odore di Gerusalemme,
la tua mano accarezza il disegno
d'una bambola magra,
intagliata del legno.

"La vestirai, Maria,
ritornerai a quei giochi
lasciati quando i tuoi anni
erano così pochi."

E lei volò fra le tue braccia
come una rondine,
e le sue dita come lacrime,
dal tuo ciglio alla gola,
suggerivano al viso,
una volta ignorato,
la tenerezza d'un sorriso,
un affetto quasi implorato.

E lo stupore nei tuoi occhi
salì dalle tue mani
che vuote intorno alle sue spalle,
si colmarono ai fianchi
della forma precisa
d'una vita recente,
di quel segreto che si svela
quando lievita il ventre.

E a te, che cercavi il motivo
d'un inganno inespresso dal volto,
lei propose l'inquieto ricordo
fra i resti d'un sogno raccolto.

lunedì 10 marzo 2014

Il tuo primo giorno

 













 La cronaca del giorno della nascita trascritta dal diario " I suoi primi anni", dopo 35 anni diventato quasi illeggibile, per i posteri e chi lo vorrà leggere adesso.



"La mamma  è stata ricoverata in ospedale alle ore 21 di venerdì 9 marzo, perché Michele stava per nascere. Alle 5,45 del giorno dopo, sabato 10 marzo 1979, veniva alla luce un magnifico bambino di kg 3,350, sanissimo, urlante, con lunghissimi capelli scuri, 
Papà Gabriele, che avrebbe desiderato assistere alla nascita del suo bambino, aveva accompagnato mamma Luigina, armato di macchina fotografica, invece è riuscito a scattare solo quella qui a sinistra della porta chiusa della sala parto, prima di tornare a casa, perché secondo i medici, Michele non sarebbe nato prima delle 8-9 del mattino seguente. Invece aveva fretta di nascere ed il suo papà l'ha saputo dopo 10 minuti dalla telefonata di un'ostetrica. E' corso subito in ospedale, ma non ha potuto vedere il suo bel bambino fino alle 13. In compenso ha potuto parlare con la mamma, che era felice e commossa per questa meravigliosa ed irripetibile esperienza, anche se aveva dovuto faticare un po' per aiutare Michele a nascere.
Dopo 3 ore e mezza dall'avvenimento la mamma si alzava per mettersi in ordine per ricevere parenti ed amici, che sono giunti numerosi ed entusiasti a complimentarsi con i genitori ed a portare bellissimi doni a Michele ed alla mamma.
Il dono più bello (oltre a questo diario) però è stato un magnifico cesto di fiori, confezionato dallo zio Alberto (fratello della mamma), che aveva un fiocco azzurro con la scritta     che si vede sul comodino nella fotografia seguente, scattata sei ore dopo il parto "
 





sabato 8 marzo 2014

Quello che le donne non dicono


Interpretatata da una grande cantante, ma scritta da un maschietto, il cantautore Enrico Ruggeri. Malgrado ciò che pensano molte donne, la sensibilità non è una prerogativa femminile. Penso che l'uomo e la donna  non debbano essere 2 "generi"  in eterna competizione o in  guerra fra loro, come pensano molte femministe e maschilisti, ma il completamento l'una dell'altra, per evitar l'inaridimento e il fallimento di  molte unioni, "con la voglia di capire chi non riesce più a parlare ancora con noi"                            

Guarda il video di "Quello Che Le Donne Non Dicono" 
Ci fanno compagnia certe lettere d'amore
parole che restano con noi,
e non andiamo via
ma nascondiamo del dolore
che scivola, lo sentiremo poi,
abbiamo troppa fantasia, e se diciamo una bugia
è una mancata verità che prima o poi succederà
cambia il vento ma noi no
e se ci trasformiamo un po'
è per la voglia di piacere a chi c'è già o potrà arrivare a stare con noi,
siamo così
è difficile spiegare
certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui,
con le nostre notti bianche,
ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro "si".
In fretta vanno via della giornate senza fine,
silenzi che familiarità,
e lasciano una scia le frasi da bambine
che tornano, ma chi le ascolterà...
E dalle macchine per noi
i complimenti dei playboy
ma non li sentiamo più
se c'è chi non ce li fa più
cambia il vento ma noi no
e se ci confondiamo un po'
è per la voglia di capire chi non riesce più a parlare
ancora con noi.
Siamo così, dolcemente complicate,
sempre più emozionate, delicate ,
ma potrai trovarci ancora quì
nelle sere tempestose
portaci delle rose
nuove cose
e ti diremo ancora un altro "si",
è difficile spiegare
certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui,
con le nostre notti bianche,
ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro "si"

martedì 4 marzo 2014

I miei maestri

La settimana scorsa ho visto il bellissimo sceneggiato "Non è mai troppo tardi" sulla vita e la figura del maestro Manzi e mi sono commossa più volte, perché ho rivissuto i miei 20 anni da maestra elementare e perché, come dice QUI  la mia amica blogger Maria Teresa, si rimane maestre per sempre. Inoltre devo proprio a questo maestro e alla trasmissione con cui è riuscito ad insegnare a tanti analfabeti adulti a leggere e a scrivere, la mia scelta di iscrivermi all'istituto magistrale per poter in futuro esercitare questa bellissima professione. Per questo mi è particolarmente caro, perciò  ho cercato di far mio il suo motto nel giudicare i miei piccoli scolari  "Fa quel che può, quel che non può non fa



Domenica scorsa è venuto a mancare un altro mio maestro ispiratore: Mario Lodi, uno dei più grandi della scuola italiana. A lui, nei primi anni '70, mi sono ispirata nei miei primi passi di sprovveduta maestra elementare, dove mi son resa conto come fosse inadeguata la preparazione ricevuta all'istituto magistrale. Da lui ho imparato a stare dalla parte dei bambini, a partire da loro, da ciò che conoscevano e amavano e a capire che ero io a formarmi come maestra insieme a loro, perché mi considerassero un'amica di cui potersi fidare e non un' autorità di cui avere paura. Da lui e con loro ho imparato a raccontare con le parole e con le immagini, a legare alla vita di ogni giorno la ricerca e lo studio, a scoprire l’enorme valore della cultura contadina e che anche un paesino sperduto, come quello in cui anch’io ero nata e insegnavo, ha la stessa dignità di una grande città, a scoprire l’iimportanza della cooperazione, a scrivere insieme ai bambini, a inventare filastrocche con e per loro, ad andare a lezione dalla natura e che la fantasia e la creatività stanno alla base di tutto il sapere. Immensa è la mia gratitudine per tutto quello che ho ricevuto da Cipì, la storia di un passerotto curioso e intraprendente, con tanta voglia di scoprire il mondo, che ha rappresentato la  filosofia dell'educazionee del suo magnifico pensatore e di tanti giovani insegnanti come me, che, invece di distruggere la scuola, come voleva la contestazione studentesca di allora, cercarono, grazie al suo insegnamento, di cambiarla in modo costruttivo, stabilendo un nuovo rapporto tra maestro e scolari.

LA LETTERA DI MARIO LODI AGLI INSEGNANTI
21 settembre 2010

Care maestre e cari maestri,

mi è capitato spesso, in questo periodo, di ricevere lettere o telefonate da qualcuno di voi. La domanda che mi viene rivolta con maggiore insistenza è: “Come facciamo a insegnare, in tempi come questi?”. I sottintesi alla domanda sono molti: il ritorno del “maestro unico”; classi sempre più affollate; bambini e bambine che provengono da altre culture e lingue e non sanno l’italiano etc.
Anch’io, come voi, soprattutto nei primi anni della mia attività di maestro, mi ponevo interrogativi analoghi. Ho cominciato ad insegnare subito dopo la guerra. Le classi erano molto numerose. Capitava anche di avere bambini e bambine di età diverse.
Forse qualcuno di voi ha la brutta sensazione di lavorare come dopo un conflitto: in mezzo a macerie morali e culturali, a volte causate dal potente di turno – ce n’erano anche quando insegnavo io – che pensa di sistemare tutto con qualche provvedimento d’imperio. I vecchi contadini delle mie parti dicevano sempre che i potenti sono come la pioggia: se puoi, da essa, cerchi riparo; se no, te la prendi e cerchi di non ammalarti e, magari, di fare in modo che si trasformi in refrigerio e nutrimento per i tuoi fiori.
Il mio augurio per il nuovo anno scolastico è questo: NON SENTITEVI MAI DA SOLE E DA SOLI! Prima di tutto ci sono i bambini e le bambine, che devono essere nonostante tutto al centro del vostro lavoro e che, vedrete, non finiranno mai di sorprendervi. Poi ci sono altre e altri che, come voi, si stanno chiedendo in giro per l’Italia quale sia ancora il senso di questo bellissimo mestiere. Capitò così anche a me, anche a noi. Cercammo colleghe e colleghi che si ponessero le nostre stesse domande e fu così che incontrammo Giuseppe Tamagnini, Giovanna Legatti, Bruno Ciari e altre e altri con i quali costruimmo il Movimento di Cooperazione Educativa. Poi ci sono anche i genitori e le zie e i nonni dei vostri alunni e delle vostre alunne, che possono darvi una mano, se saprete, anche insieme a loro, rendere la scuola un luogo accogliente e bello, in cui ciascuno abbia il piacere e la felicità di entrare e restare assieme ad altri.
Non dimenticate che davanti al maestro e alla maestra passa sempre il futuro. Non solo quello della scuola, ma quello di un intero Paese: che ha alla sua base un testo fondamentale e ricchissimo, la Costituzione, che può essere il vostro primo strumento di lavoro.
Siate orgogliosi dell’importanza del vostro mestiere e pretendete che esso venga riconosciuto per quel moltissimo che vale.
Un abbraccio grande.                                
Mario Lodi

mercoledì 26 febbraio 2014

Nuove riflessioni sull'amicizia

Le situazioni e quindi le persone cambiano, perciò non si sa mai cosa può succedere. ma non è che se un'amicizia finisce è scontato che sia stata 'falsa'.. non sempre le cose vanno come vogliamo noi, o meglio, dipende dalle persone, purtroppo. 
L'amicizia non è un contratto. Se una persona ci è amica oggi non è obbligata a esserlo domani, perché le persone cambiano, maturano, si evolvono e questo può far si che due persone non si trovino più in sintonia. 
L'amicizia deve essere un rapporto spontaneo. Se si comincia a pensare che sia un rapporto "dovuto". allora non è amicizia. Può capitare che due persone si trovino bene a stare insieme tutta la vita, ma non è qualcosa che deve avvenire sempre. Forse ci aspettiamo troppo dai rapporti umani. Per questo motivo penso che l'ex migliore amico/a non esista, ma era soltanto un amico come tanti altri che sono stati i migliori in un certo periodo della nostra vita. Quelli che sono stati i nostri migliori amici lo rimarranno per sempre e basterà che si vedano un giorno per aggiornarsi, come se si fossero visti il giorno prima, indipendentemente dal tempo passato e dalla lontananza e se non si rivedranno più resteranno per sempre tra i ricordi migliori della nostra vita.

martedì 21 gennaio 2014

UN DECALOGO PER IL PAPA’


Anche se mancano ancora 2 mesi alla festa del papà, mi è piaciuto così tanto questo decalogo che  condivido completamente e auguro a tutti i papà di riuscire a metterlo in pratica, giorno per giorno, con amore ed umiltà.


1- Il primo dovere di un padre verso i suoi figli è amare la madre. La famiglia è un sistema che si regge sull’amore. Non quello presupposto, ma quello reale, effettivo. Senza amore è impossibile sostenere a lungo le sollecitazioni della vita familiare. Non si può fare i genitori “per dovere”. E l’educazione è sempre un “gioco di squadra”. Nella coppia, come con i figli che crescono, un accordo profondo, un’intima unione danno piacere e promuovono la crescita, perché rappresentano una base sicura. Un papà può proteggere la mamma dandole in “cambio”, il tempo di riprendersi, di riposare e ritrovare un po’ di spazio per sé.
2- Il padre deve soprattutto esserci. Una presenza che significa “voi siete il primo interesse della mia vita”. Affermano le statistiche che, in media, un papà trascorre meno di cinque minuti al giorno in modo autenticamente educativo con i propri figli. Esistono ricerche che hanno riscontrato un nesso tra l’assenza del padre e lo scarso profitto scolastico, il basso quoziente di intelligenza, la delinquenza e l’aggressività. Non è questione di tempo, ma di effettiva comunicazione. Esserci, per un papà vuol dire parlare con i figli, discorrere del lavoro e dei problemi, farli partecipare il più possibile alla sua vita. E’ anche imparare a notare tutti quei piccoli e grandi segnali che i ragazzi inviano continuamente.
3 – Un padre è un modello, che lo voglia o no. Oggi la figura del padre ha un enorme importanza come appoggio e guida del figlio. In primo luogo come esempio di comportamenti, come stimolo a scegliere determinate condotte in accordo con i principi di correttezza e civiltà. In breve, come modello di onestà, di lealtà e di benevolenza. Anche se non lo dimostrano, anche se persino lo negano, i ragazzi badano molto di più a ciò che il padre fa, alle ragioni per cui lo fa. La dimostrazione di ciò che chiamiamo “coscienza” ha un notevole peso quando venga fornita dalla figura paterna.
4 – Un padre dà sicurezza. Il papà è il custode. Tutti in famiglia si aspettano protezione dal papà. Un papà protegge anche imponendo delle regole e dei limiti di spazio e di tempo, dicendo ogni tanto “no”, che è il modo migliore per comunicare: “ho cura di te”.
5 – Un padre incoraggia e dà forza. Il papà dimostra il suo amore con la stima, il rispetto, l’ascolto, l’accettazione. Ha la vera tenerezza di chi dice: “Qualunque cosa capiti, sono qui per te!”. Di qui nasce nei figli quell’atteggiamento vitale che è la fiducia in se stessi. Un papà è sempre pronto ad aiutare i figli, a compensare i punti deboli.
6 – Un padre ricorda e racconta. Paternità è essere l’isola accogliente per i “naufraghi della giornata”. E’ fare di qualche momento particolare, la cena per esempio, un punto d’incontro per la famiglia, dove si possa conversare in un clima sereno. Un buon papà sa creare la magia dei ricordi, attraverso i piccoli rituali dell’affetto. Nel passato il padre era il portatore dei “valori”, e per trasmettere i valori ai figli bastava imporli. Ora bisogna dimostrarli. E la vita moderna ci impedisce di farlo. Come si fa a dimostrare qualcosa ai figli, quando non si ha neppure il tempo di parlare con loro, di stare insieme tranquillamente, di scambiare idee, progetti, opinioni, di palesare speranze, gioie o delusioni?
7 – Un padre insegna a risolvere i problemi. Un papà è il miglior passaporto per il mondo ” di fuori”. Il punto sul quale influisce fortemente il padre è la capacità di dominio della realtà, l’attitudine ad affrontare e controllare il mondo in cui si vive. Elemento anche questo che contribuisce non poco alla strutturazione della personalità del figlio. Il papà è la persona che fornisce ai figli la mappa della vita.
8 – Un padre perdona. Il perdono del papà è la qualità più grande, più attesa, più sentita da un figlio. Un giovane rinchiuso in un carcere minorile confida: “Mio padre con me è sempre stato freddo di amore e di comprensione. Quand’ero piccolo mi voleva un gran bene; ci fu un giorno che commisi uno sbaglio; da allora non ebbe più il coraggio di avvicinarmi e di baciarmi come faceva prima. L’amore che nutriva per me scomparve: ero sui tredici anni… Mi ha tolto l’affetto proprio quando ne avevo estremamente bisogno. Non avevo uno a cui confidare le mie pene. La colpa è anche sua se sono finito così in basso. Se fossi stato al suo posto, mi sarei comportato diversamente. Non avrei abbandonato mio figlio nel momento più delicato della sua vita. Lo avrei incoraggiato a ritornare sulla retta via con la comprensione di un vero padre. A me è mancato tutto questo”.
9 – Il padre è sempre il padre. Anche se vive lontano. Ogni figlio ha il diritto di avere il suo papà. Essere trascurati o abbandonati dal proprio padre è una ferita che non si rimargina mai.
10 – Un padre è immagine di Dio. Essere padre è una vocazione, non solo una scelta personale. Tutte le ricerche psicologiche dicono che i bambini si fanno l’immagine di Dio sul modello del loro papà. La preghiera che Gesù ci ha insegnato è il Padre Nostro. Una mamma che prega con i propri figli è una cosa bella, ma quasi normale. Un papà che prega con i propri figli lascerà in loro un’impronta indelebile.
(di Bruno Ferrero sacerdote salesiano e scrittore italiano)


giovedì 16 gennaio 2014

Album di famiglia

Da un po' di tempo ho iniziato a ristrutturare i miei vecchi album di famiglia, anche per inserire le numerose fotografie trovate nelle vecchie scatole di latta ereditate dai miei genitori, riordinarle cronologicamente e ripassarne le didascalie ormai scolorite o ancora scritte a matita sull'album o ricopiare quelle trovate sul retro. 
Questo lavoro mi appassiona e mi gratifica molto anche perché mi permette di fare numerose riflessioni sulla vita e sul ruolo della fotografia. 
La prima è che di solito negli album di famiglia si incollano le foto dei momenti più belli, che, se non esistessero queste foto, sarebbero stati dimenticati.
La seconda considerazione è che, grazie ad esse, questi momenti possono essere rivissuti e risvegliare sentimenti ed emozioni anche diversi da allora.
Inoltre, difficilmente negli album di famiglia si trovano fotografie di momenti tristi e spiacevoli, perché questi non hanno bisogno di essere fissati su una pellicola, diapositiva o foto digitale, perché la nostra mente li ha già fissati in modo indelebile. 

Anche se non esiste la fotografia, non dimenticherò mai infatti l'immagine severa del mio babbo che mi rincorreva lungo una scalinata per 130 gradini, con in mano una sottile verga  che ogni tanto mi raggiungeva sulle gambe, lasciandomi segni duraturi, solo per punirmi di essermi attardata davanti alla scuola dove distribuivano album per la raccolta di figurine ed averlo fatto stare in pensiero, perché dovevo attraversare un passaggio a livello incustodito.
Così le nuove generazioni che sfoglieranno questi album si faranno l'idea che la nostra infanzia, la nostra gioventù, il nostro lavoro e tutta la nostra vita sia stata prevalentemente felice, anche se non è sempre stato così e ora pensano che siamo responsabili della loro attuale infelicità.

Recentemente però è stato molto gratificante e commovente mostrare uno di questi album alla mia nipotina di 5 anni, che sì è divertita molto a sfogliarlo e vedere i suoi nonni quando erano fidanzati, si sono sposati e di quando il loro papà è nato ed era piccolo come lei.


La scatola di latta con le fotografie della mia mamma
                                                                                   

 Il suo contenuto
                                                                         

                                                                   
 
Uno dei miei album di famiglia

giovedì 9 gennaio 2014

Disfare l'albero e il presepe


Ogni anno mi viene il magone quando devo disfare l'albero di Natale  e il presepe e mi viene  la tentazione di lasciarlì lì per il prossimo Natale, perché ormai, dopo più di un mese, fanno parte dell'arredamento della casa e disfarli mi mette malinconia, come quando si fa un trasloco, si smobilita alla fine di una vacanza, come il lunedì mattina. 
Certo prepararli è più divertente ed emozionante: risveglia ricordi bellissimi di cose e persone che negli anni hanno contribuito ad arricchirli. 
Però oggi ho capito finalmente perché certe cose vanno tolte: per rinnovare il piacere di metterle di nuovo e stupirsi ogni volta di quanto siano belle, anche se sono sempre le stesse da tanti anni e sono cresciute con noi.
Così oggi, nel riporre tutto negli scatoloni, per scacciare la malinconia, ci ho messo più attenzione del solito, per annotare interventi di restauro di qualche statuetta del presepe, sostituzioni di palloncini rotti e proponimenti per arricchire questi 2 simboli del Natale della nostra famiglia nel tempo con elementi nuovi, che l'anno prossimo rinnoveranno lo stupore e la gioia mia e dei miei nipotini.




domenica 5 gennaio 2014

L'eterna insoddisfazione dell'animo umano

Molte volte, come dice il testo di questa canzone,  non siamo in grado di apprezzare quello che abbiamo, mentre lo possediamo. Sempre tesi a ciò che non c’è, fa di questa insoddisfazione l’unico metro per le nostre azioni. Senza che questo ci renda felici, anzi: ciò che abbiamo non conta nulla in confronto a ciò che non abbiamo, che sia una giornata di sole o una luce che ci rischiari. E’ sempre dopo aver perso le cose che ne comprendiamo il valore: ciò accade a volte anche con la persona di cui si è innamorati. Senza essercene forse resi conto finché l’avevamo accanto, è solo dopo averla lasciata andare che ci si accorge di quanto fosse speciale e importante. E ciò nonostante la lasciamo andare.
La prima volta che ho ascoltato questo brano, le parole e la musica, hanno suscitato in me emozioni intense e fatto riflettere sul fatto che ognuno di noi ha una serie infinita di bisogni di natura emotiva, fisica, mentale o spirituale, ma che c'è un bisogno più essenziale degli altri, che, se  non si riesce a soddisfare, fa apparire anche la vita più realizzata senza senso: il bisogno d'amore.
Credo anch'io che l'assenza di amore sia proprio la causa dell'insoddisfazione umana. Tuttavia penso che prima di tutto dobbiamo imparare ad amare noi stessi. Se non siamo capaci  di farlo è molto difficile che gli altri riescano ad amarci. Amare se stessi vuol dire accettarsi per quello che si è, iniziando anche ad accettare i propri errori e concederci  sempre un'altra occasione per continuare ad esprimerci e a scoprire chi siamo
TRADUZIONE LET HER GO
Beh, hai bisogno della luce solo quando si sta spegnendo
Ti manca il sole solo quando inizia a nevicare
Ti rendi conto di amarla solo quando la lasci andare
 Ti rendi conto di essere arrivato in alto solo quando ti senti giù
Odi la strada solo quando ti manca casa
Ti rendi conto di amarla solo quando la lasci andare
E la lasci andare
Fissi il fondo del tuo bicchiere
Sperando un giorno di far durare il tuo sogno
Ma i sogni arrivano lentamente e spariscono così in fretta
La riesci a vedere quando chiudi gli occhi
Forse un giorno capirai perché
Tutto ciò che tocchi muore sempre ma hai bisogno della luce solo quando si sta spegnendo
Ti manca il sole solo quando inizia a nevicare
Ti rendi conto di amarla solo quando la lasci andare
Ti rendi conto di essere arrivato in alto solo quando ti senti giù
Odi la strada solo quando ti manca casa
Ti rendi conto di amarla solo quando la lasci andare
Fissi il soffitto nell’oscurità
Hai sempre la solita sensazione di vuoto nel cuore
Perché l’amore giunge lentamente ma sparisce in fretta
La vedi quando ti addormenti
Ma non riesci mai a toccarla o tenerla stretta
Perché l’hai amata troppo e sei affondato troppo in profondità
Beh, hai bisogno della luce solo quando si sta spegnendo
Ti manca il sole solo quando inizia a nevicare
Ti rendi conto di amarla solo quando la lasci andare
Ti rendi conto di essere arrivato in alto solo quando ti senti giù
Odi la strada solo quando ti manca casa
Ti rendi conto di amarla solo quando la lasci andare
E la lasci andare E la lasci andare e… la lasci andare
https://www.youtube.com/watch?v=Ginx7WKq5GE

mercoledì 1 gennaio 2014

Giustizia e pace iniziano in casa

"Papa Francesco nel primo Angelus del nuovo anno: Giustizia e pace iniziano in casa” 
E io mi chiedo: "Quanti di quelli che in teoria predicano e oggi hanno marciato per la pace fanno qualcosa per contribuire a crearla prima di tutto tra le mura domestiche?" 
Credo che sia la cosa più difficile, come fare i primi passi quando si impara a camminare.  

METTI PACE TRA TE E LA TERRA

Metti pace tra te e la terra,
alla natura non fare la guerra.
Fai pace con le tue delusioni,
del tuo dolore fai una canzone.
Fai pace con le tue paure,
con tutto quello che in te non va.
Fai pace con la tua fantasia,
non far morire la tua poesia
Metti amore in quello che fai
e il deserto fiorire vedrai.
E fai pace con i desideri che hai.

    Metti l'orecchio contro la terra
    senti un lontano rumore di guerra:
    è il fragore di un'artiglieria
    oppure è il ritmo di una batteria.
    Metti il tuo orecchio sul cuore del mondo
    ascolterai una musica nuova:
    è il coro di tutti i risorti,
    di tutti quelli che sembrarono morti
    che ancora vivono e sono con noi
    e il loro canto non finirà mai.

Metti la pace nei pensieri tuoi,
non fare a pugni con quello che vuoi.
Fai la pace con i desideri che non hai osato mai.
Metti la pace nelle tue parole, nelle mani che stringerai
e fai pace con gli amici che hai o che non hai avuto mai.
Fai la pace con la tua tristezza,
libera tutta la tua tenerezza.
E fai pace con le cose che tu non hai.

Metti la pace dentro al tuo dolore
per coloro che non sono più.
L'eco dei sogni che avevano in cuore
è ancora viva nell'aria e non muore.
L'eco dei passi non è ancora spenta
e la loro voce risuona nel vento.
È già compiuta la loro speranza
e la tristezza è cambiata in danza.
Le loro lacrime sono asciugate:
son nella pace dei figli di Dio.

martedì 31 dicembre 2013

Una canzone senza tempo per dodici mesi

domenica 29 dicembre 2013

Un paesino da fiaba per chi non ha paura del futuro

Condivido qui l'articolo di Alfredo Bonomi pubblicato su Vallesabbia non solo news, nella rubrica "Briciole di cultura"  col titolo "Emozioni a Presegno", il paesino da fiaba, dove il nostro amico Massimo Braghini, che ci ha fatto vivere dal suo sito a pedali Lauramax.it, le sue emozioni in bici per le strade dell'Europa, quest'anno ha saputo reinventarsi completamente la vita con un coraggio da leoni e si prepara a farci vivere emozioni ancora più autentiche





 

27/12/2013 13:56:00 Lavenone Valsabbia - Briciole di Cultura

Emozioni a Presegno

di Alfredo Bonomi


La valle dell'Abbioccolo è quasi unica dal punto di vista paesaggistico ed è tutta da gustare, prima di giungere a Presegno, partendo da Lavenone

La strada che, in parte, costeggia il torrente, gli antichi ponti che segnano molti anni di vita, testimoniano di una zona abitata ed interessata ai transiti dei viandanti già a partire dagli anni che videro lo sviluppo di molti territori dopo il Mille.
Il paesaggio è di quelli che non si dimenticano in fretta. Sulla destra, per chi sale, la “Corna Zeno” si frastaglia in tonalità coloristiche che compongono un quadro perfetto.
Prima di piegare verso Presegno, la nuova strada, costruita nei primi decenni della seconda metà del secolo scorso da un sindaco al femminile, allora una novità anche a livello più vasto, invita a sostare un poco nella conca di Vaiale, a tutti nota come la zona delle “Piccole Dolomiti” perché lo scenario dei picchi della “Corna Blacca” e della “Cima Caldoline”, che chiudono l’orizzonte, ricorda quello delle “Grandi Dolomiti” venete e trentine.
L’origine del paese è da ricercare non solo nelle possibilità di vita date da un’economia montana basata sull’allevamento del bestiame, con la produzione di formaggi, e sullo sfruttamento dei pascoli di alta quota, ma ancor di più nell’intreccio di antichi percorsi, pure di “alta quota”, interessati da flussi commerciali ed, in alcuni periodi storici, strategici.
Infatti il passaggio dalla valle dell’Abbioccolo, attraverso l’alto passo “della Berga”, portava nelle montagne dell’Alta Valle Trompia ed a Bagolino ed era per questo grosso centro montano una alternativa sicura alla strada che costeggiava il Lago d’Idro diretta a Brescia, in caso di guerre o di altre difficoltà.
Inoltre, il collegamento con Ono e Forno d’Ono, attraverso il “Passo della Croce” metteva in contatto Presegno con la piccola “capitale” della “Universitas della Pertica”, entità amministrativa alla quale partecipò per più di 400 anni anche Presegno, sino al 1928, quando confluì nel Comune di Lavenone.
È sintomatico che, a monte di Vaiale un territorio sia chiamato ancora oggi “Le Pertiche”. Forno d’Ono era il “cuore propulsivo” della produzione delle “ferrarezze” con il forno fusorio e parecchie fucine; alcune famiglie di Presegno, come quella dei Bonetti, erano direttamente interessate a queste attività anche per diversificare la loro economia.
I nuclei abitati di Presegno e Bisenzio sono una vera sorpresa. Le dimore, ben proporzionate ed eleganti, sono una eloquente testimonianza di una “civiltà contadina” decorosa e carica di buon gusto.
I portali, scolpiti in pietra locale dai lapicidi della famiglia Mora, qui giunta ed attiva per più di un secolo a partire dagli inizi del 1600, sono la “carta di identità” delle famiglie Zorzi, Zanaglio, Campagnoli, Bonetti, Berardi, Dusi e di parecchie altre. Con i loro vistosi stemmi, quasi a voler imitare quelli dei palazzo nobiliari, dovevano rendere bene l’idea di un “prestigio locale”, coltivato e mantenuto, magari con qualche tocco volutamente di troppo.
La piazzetta di Presegno è un gioiello. Chiama a sintesi l’impianto urbano.
Una serie di portali, in pietra finemente lavorata, diventa lo sfondo artistico di uno spazio che ha le caratteristiche di un teatro all’aperto, certo rustico ma con movenze nobili. Il tutto è di notevole impatto emotivo che aumenta ulteriormente se si pensa alla storia che hanno visto queste pietre ingentilite dalla creatività umana.
La chiesa parrocchiale non è da meno. Costruita a partire dal 1689 dai “magistri murari” Giacomo Caratti ed Andrea Comitti su disegno dell’architetto comasco Alvise Pernici, nonostante i molteplici furti subiti, è molto armoniosa e ricca di opere d’arte. Il portale, sempre in pietra scolpita, è una felice fusione tra l’inventiva di stampo popolare ed il richiamo agli schemi dell’arte barocca. Assai graziosa è pure la chiesa di Santa Maria della Neve a Bisenzio, opera settecentesca del comasco Giuseppe Cetti, con affreschi di Giulio Quaglio della Val d’Intelvi.
Purtroppo, come altri borghi montani, nel secolo scorso, specialmente a partire dagli anni del “miracolo economico” del dopoguerra, Presegno ha subito un massiccio spopolamento, con il venir meno di quel “quadro economico” che, per secoli, aveva assicurato agli abitanti la possibilità di vita in loco.
Veramente l’emigrazione era già iniziata alla fine del 1800 ma, nei primi decenni del ‘900, il paese era rimasto consistente, con una popolazione che, in media, si aggirava intorno alle 350 unità.
I primi giovani emigrati in cerca di un lavoro e di “fortuna” si erano diretti verso gli Stati Uniti d’America. Quando poi la situazione mutò, molte mete riguardarono l’Italia.
Tutti però mantennero un forte legame con il loro paese d’origine.
A questo riguardo è assai significativa la cronaca della festa tenuta nel settembre del 1909 per la posa in chiesa della statua della “Madonna del Rosario”, acquistata con le offerte dei giovani emigrati negli Stati Uniti d’America.
In un registro conservato in una biblioteca privata è contenuto il completo resoconto dell’impegno economico affrontato. Veniamo così a sapere che gli offerenti dimoranti in paese furono ben 118 con una contribuzione totale di L. 1074,20 a fronte di una uscita di L. 885,90.
Nell’elenco emergono anche 13 famiglie, benestanti o più generose, con una contribuzione individuale superiore alle 10 lire.
La festa fu solennissima. La presenza della Banda Musicale di Casto la rese più gioiosa. Lo sparo di fuochi d’artificio con tre «mortai» acquistati dalla ditta “Guido Glisenti” di Carcina illuminò la serata. Una liturgia adeguata ed un bravo organista lasciarono nel cuore di tutti una forte emozione, anche con il ricordo dei giovani lontani impegnati in un duro lavoro in America.
Questa fu l’ultima occasione vissuta “alla grande”, non era ancora del tutto presente il tarlo della prospettiva dell’abbandono del paese.
Poi seguirono anni con ridimensionamento, sempre più marcato, della popolazione, sino ai nostri giorni nei quali le “pietre parlano da sole”.
I pochi residenti stabili testimoniano però il filo tenace che non si arrende ed è giusto che sia così.

Il futuro in una globalizzazione che ha messo in ginocchio molte comunità di montagna, non sarà facile. Certo, la bellezza del luogo, la poesia dell’insieme, possono ancora far sperare, così come alcune iniziative di intelligente ristorazione. Serve qualche “colpo d’ala” che permetta la continuità della permanenza abitativa non solo come luogo della “seconda casa” che si ripopola nel mese d’agosto, ma come un nucleo di vita che possa palpitare ogni giorno.
Per Presegno forse ci possono essere le premesse per un “sogno di rinascita” come per altri borghi montani spopolati.
In Italia ci sono duemila borghi abbandonati, quindicimila con abbandono del 90%, condannati all’oblio da decenni di emigrazione.
Alcuni, grazie ad iniziative coraggiose ed innovative, stanno riprendendo vita nel contesto di un turismo di qualità.
Anche Presegno, in considerazione della particolarità del paesaggio, che ha le caratteristiche per ospitare persone che desiderano vivere qualche giorno immerse in una natura incontaminata ed in un contesto di architettura rurale di pregio, potrebbe essere trasformato in un “museo diffuso”, con un utilizzo intelligente e raccordato delle dimore, sapientemente restaurate e riadattate.
Questo è già avvenuto in alcuni borghi del Centro Italia. Santo Stefano a Sessario nell’Aquilano è un eloquente esempio di quello che possono fare l’intelligenza e l’iniziativa.
Potrà mai accadere che un danaroso, colto e istruito “imprenditore del turismo” si accorga della bellezza di Presegno? È un interrogativo che oggi ha soltanto la forza dell’utopia, ma non è da escludere che possa avere un seguito positivo.
Per concludere, s’impone una constatazione che meriterebbe approfondimenti. Riguarda le particolarità fisiche degli abitanti.
Generalmente, rispetto ai “perticaroli” loro confinanti ed ai montanari di Bagolino, erano più slanciati, con tratti somatici armoniosi e belli, e questo sia tra i maschi che tra le femmine. Abbondavano gli occhi chiari ed i capelli biondi. Sembrerebbero discendenti da un ceppo distinto dal resto della popolazione dei paesi circostanti (che ci sia lo zampino di qualche guerriero nordico o di qualche “ungaro” qui annidato nell’anno mille, stanco di spostarsi?).
Questo aspetto antropologico andrebbe studiato anche per mantenere vivo il paese attraverso i suoi abitanti, ormai sparsi tutti altrove.
Forse si potrebbero scoprire anche le ragioni di alcune intelligenze creative ed intraprendenti nate a Presegno come i fratelli Bontempelli, diventati ricchissimi a Venezia nel  1500, o i Ventura, detti “Presegno”, stampatori di pregio pure nel  1500. Potrebbe essere anche più chiara la ragione della presenza a Bisenzio di una copia del quadro della Vergine “Salus Populi Romani”, venerata a Roma nella basilica di Santa Maria Maggiore.
Sono piste che tentano la nostra curiosità e la nostra fantasia e fanno parte del fascino comunicato da Presegno.


venerdì 20 dicembre 2013

L'albero dell'amicizia




Tu
che
ne dici
Signore
se in questo
mese faccio un
bell'albero dentro
il mio cuore e ci attacco
invece dei regali
i nomi di tutti i miei
amici? Gli amici lontani e
vicini, gli antichi ed i nuovi,
quelli che vedo tutti i giorni e
quelli che vedo di rado, quelli che
ricordo sempre e quelli che - alle volte - 
restano dimenticati, quelli
costanti e quelli intermittenti,
quelli delle ore difficili e quelli delle
ore allegre, quelli che mi hanno fatto soffrire, quelli
che conosco profondamente e quelli dei quali conosco
solo le apparenze, quelli che mi devono poco e quelli ai quali devo molto.
I miei amici semplici ed i miei amici importanti.
i nomi di tutti quelli che sono gia' passati
nella mia vita. Un albero con radici molto profonde,
perché i loro nomi non escano mai dal mio cuore, un albero dai rami
molto grandi perché i nuovi nomi venuti da tutto il mondo si
uniscano ai
gia' esistenti.
Un albero con
un'ombra molto
fresca affinché
l’ amicizia sia
un momento di
ristoro durante
le lotte della vita.

Vorrei piantare questo albero in un prato verde come la speranza in un mondo migliore che ci accomuna e che innaffieremo ogni giorno insieme, finché vivremo.